Weah, la rivelazione del padre: “Poteva vestire la maglia del Milan”
Milan e Juventus, tra poche ore, si affronteranno a San Siro. Il big match è valido per la tredicesima giornata di Serie A. Una sfida che Timothy Weah avrebbe potuto disputare con la maglia rossonera se solo qualche anno fa l’operazione fosse andata a buon fine.
Weah: “Avevo parlato con Maldini”
A rivelarlo è stato il papà, George Weah, bomber del Milan degli anni ’90. L’ex calciatore ha raccontato di aver parlato del possibile trasferimento del figlio proprio con Paolo Maldini, con cui ha condiviso lo spogliatoio ai tempi. “Avevo parlato di Timo con Maldini, c’era la possibilità di farlo andare al Milan, ma non si è concretizzata – ha spiegato – Quando mio figlio mi ha accennato della Juve, gli ho detto di non esitare neanche un momento. Non si poteva dire di no a un’opportunità che milioni di ragazzi sognano ma che soltanto in pochi hanno”.
La passione per i colori bianconeri
“Al di là del mio tifo, è la squadra giusta per lui”, ha poi concluso George Weah. E ha così affermato di avere una passione per i colori bianconeri, che d’altronde non ha mai nascosto. Sull’argomento poi, ha anche aggiunto: “Guardo in tv tutte le partite della Juve: prima da tifoso, adesso per Timo. Tiferò Juventus perché è la mia squadra del cuore e perché ci gioca mio figlio”.
Il sogno irrealizzato
L’ex Psg in realtà ha avuto l’occasione di realizzare il suo sogno, ma all’epoca, ha spiegato, era troppo giovane e preferì proseguire al Monaco per altro tempo ancora: “La Juventus si era interessata a me, ma ero ancora molto giovane e Wenger mi consigliò di restare in Francia ancora un po’ perché avevo bisogno di maturare. La Serie A, all’epoca, era forse il campionato più difficile al mondo. E così andai al PSG e successivamente al Milan. Sognavo la Juve, ma non avrei potuto dire no al Milan”, ha rivelato.
Il rapporto col figlio
Una passione sfrenata che da sempre è stata il suo sogno irrealizzato. A renderlo concreto è stato proprio suo figlio: “Mio figlio ha realizzato il sogno che avevo da bambino? Si può dire così”. Il loro è un legame speciale e ben saldo, ma quando si tratta di lavoro il padre non mette bocca. “È molto intelligente, non ha bisogno dei miei consigli. Io sono suo padre, è l’allenatore che deve dirgli come e quando sbaglia. Non voglio mettergli confusione in testa né pressione. L’unica cosa che gli ripeto sempre è di giocare per la squadra, che se anche entra in campo per un solo minuto deve dare il massimo e che non importa se ha fatto gol oppure no”, ha raccontato.