Lazio, Lotito: “Non penso solo ai soldi. Sullo Scudetto…”

Un Claudio Lotito a trecentosessanta gradi quello che ha parlato negli scorsi giorni nel corso del podcast ‘Un Caffé con Vanni’. Il presidente della Lazio ha trattato numerosi temi partendo dalla politica, passando per il calcio e le riforme proposte, fino ad arrivare a temi di campo come il derby, le dimissioni di Sarri e gli obiettivi futuri del club biancoceleste, non escludendo la possibilità un giorno di lasciare la presidenza davanti al verificarsi di alcune situazioni che sarà lui stesso a valutare.
Lotito pensa ai soldi?
«Le persone mi ritraggono in modo diverso rispetto a quello che sono, perché sono persone che fanno le analisi epidermiche, ossia non vanno a fondo quindi su quello che è la persona perché la persona è composta a 360º tutta una serie di requisiti che fanno della persona un unicum. Per quello che riguarda i conti non è colpa mia, per me sono alla base della gestione. Un’azienda deve avere un equilibrio economico-finanziario per poter essere gestita altrimenti rischi il fallimento. Basta nel caso del calcio verificare quello che è successo negli ultimi 25 anni e vi renderete conto che tante persone sono sparite nel ruolo di presidente. Quando dico sparito è perché hanno avuto un periodo di 5 anni massimo e perché probabilmente hanno interpretato il calcio come tifosi-presidenti e non come presidenti-tifosi. Io sento la responsabilità di dover coltivare quei valori di questa società nata nel 1900 e che per altro hanno valori importanti e rarissimi, visto che è stata insignita della qualifica di Ente Morale. Questo proprio per le azioni che promuoveva sul territorio. Ci sono delle condizioni che fanno parte dell’essere e non dell’avere. Penso, quindi, che fare i conti però non sia un fatto negativo d bisogna conciliare il risultato sportivo con il sano equilibrio economico-finanziario. Spesso questo non accade perché la gente corre dietro al risultato sportivo per apparire, poi però le società spariscono, falliscono ed è successo a tante società. Ed è per questo che ci tengo e mi adopero. Basti pensare che per mantenere il numero di matricola originario e non far fallire la Lazio io mi sono caricato di 550 milioni di debiti nel 2004. La società fatturava 84 milioni e ne perdeva 86,6. Penso che il risanamento che ho messo in atto, coniugando anche i risultati sportivi. Perché dopo la Juve, la Lazio è la seconda società che ha vinto il maggior numero di trofei. Non ha vinto il campionato ma ha vinto 3 Supercoppe e 3 Coppe Italia, peraltro vincendo contro l’Inter del triplete, contro la Juventus che aveva vinto tutto. Dimostrando, quindi, che si possono raggiungere dei traguardi e dei risultati sportivi utilizzando l’organizzazione e la capacità di mettere a sistema non solo il denaro ma anche le capacità di avere delle idee che possono produrre risultati».
Lo Scudetto
«Voi pensate che lo scudetto sia un fatto matematico, oggi si pensa che più spendi e più vinci ma è una fesseria. Basta prendere ad esempio i Cosmos che era una squadra piena di campioni ma non ha mai vinto nulla. Quindi il tema è investire in modo oculato e in modo scientifico per raggiungere degli obiettivi. Io nel calcio ho preso la Salernitana in eccellenza e l’ho portata in Serie A, l’unico caso nel calcio italiano. In eccellenza pagai un contributo per farla ripescare in Serie D e ho vinto il campionato, sono andato in C2 ho vinto il campionato, sono andato in C1 ho vinto la Coppa Italia e il campionato, sono andato in Serie B e poi sono andato in A. La Lazio l’ho risanata ed oggi ha 300 milioni di euro di patrimonio immobiliare ed è la società più patrimonializzata che c’è sul mercato. Io sto lavorando affinché lo scudetto non diventi un fenomeno sporadico ma diventi un sistema all’interno della Lazio. Io ho proceduto nel risanamento, oggi sto nella fase della crescita, non a caso sto costruendo l’Academy».
Futuro della Serie A
«Voglio svelarvi un aspetto. Io acquisisco la Lazio perché Silvio Berlusconi, con cui avevo un’amicizia da prima che fosse politico, e ci vedevamo spesso. Lui spiegò di essersi interessato alla Lazio per una questione di ordine pubblico. Ci furono una serie di situazioni molto delicate. Aveva di me una grande stima, ritenendomi in grado di risolvere i problemi. Il problema del futuro del calcio passa attraverso alcune regole che sono state disattese. Quando sono entrato in Lega calcio tutti parlavano di chi avrebbe fatto il presidente. All’epoca c’erano 42 presidente tra Serie A e B. In un quadro di questo genere ho visto che il problema non era chi fa il presidente, ma che producevamo 1 miliardo e 200 milioni di debiti. E come si risolvono? Salary cup, defiscalizzazione, incremento dei ricavi e gestione delle spese. Sulla base di questo sono riuscito a fare un risanamento. Nei primi tre anni pagavo due squadre: quella che giocava, che ho fatto io comprando nove giocatori in un giorno, e quella che avevo ritirato. In quel periodo andai anche in Champions e ottenni una Coppa Italia. Quando sono entrato in federazione insieme a Tavecchio, avevo la delega alle riforme e ne ho fatte alcune fondamentali. Tra queste la goal line technology, perché sono un uomo pratico. Abbiamo anche proposto il Var e, grazie ai rapporti di Tavecchio con il predisente della Fifa, siamo stati i primi a sperimentarlo. Siamo passati da un’impresa romantica con il ‘padron coglion che metteva i soldon’ a un’impresa industriale dove devono quadrare i conti. Con la differenza che oggi parli di cifre importanti, oggi vincere la Champions vale 130/140 milioni. Per questo una svista costa tanto, la tecnologia è fondamentale».
Squadre del Nord favorite?
«Io non faccio dietrologie, non rientra nel nostro modo di pensare. Ogni tanto a pensar male ci si azzecca. Sicuramente il sistema necessita di cambiamenti strutturali e radicali. Faccio un esempio pratico. Ci sono criteri di ammissioni alle squadre in campionato, molte squadre sono state ammesse nonostante fossero piene di debiti. Se io sono la struttura e decido chi fa le ammissioni, chi fa il giudice che deve fare poi giustizia su di me, spinge a pensare che delle volte le cose debbano uscire fuori dal sistema e quindi ci vuole una struttura terza. Se si eliminano dei presupposti che possono eliminare dei riflessi condizionati già si sta un pezzo avanti. Se io nomino una persona che poi mi deve giudicare, se non altro la metto in difficoltà».
Dimissioni di Sarri
«Con lui avevo un rapporto franco. Per altro i suoi collaboratori mi hanno rivelato che l’unica volta che ha fatto degli elogi a una proprietà è stato per me. Diceva che io ero una delle persone più intelligenti che lui avesse mai conosciuto, e io lo ringrazio per questo. Il tema qual è: se tu sei conoscente di te stesso conosci anche i tuoi limiti. Quindi, se produci risultati negativi come puoi pretendere di essere un punto di riferimento?»
Il business nel calcio
«Ci sono parecchi fattori imponderabili nel calcio. Il calcio è l’attività più complicata per questo dal punto di vista imprenditoriale. Se tu hai un’attività industriale hai il costo delle materie prime, della lavorazione e della vendita e ottieni un risultato. Nel calcio i fattori sono molti di più: la psicologia, gol o non gol. I giocatori sono aziende autonome e quando scendono in campo lo fanno come uomo con tutti i problemi che si portano, al di là del valore del calciatore. La capacità è quella di fare sistema. Il processo è semplice, bisogna avere: la visione di quello che si vuole fare della vita, la cabina di regia che studia come arrivare all’obiettivo, la squadra perché da solo non si va da nessuna parte e che deve trasformare la visione in fatti concreti. Se tutto funziona per il meglio allora si ottiene il risultato. Anche i magazzinieri, i massaggiatori e i medici influiscono. Il risultato diventa dal lavoro di tutti, se tutti convergono sullo stesso obiettivo allora arriva il risultato. In politica funziona allo stesso modo»