Calcio

Dalla finale Mondiale 2002 a Perugia-Juve: Collina si racconta

L'ex arbitro, nominato migliore al mondo ininterrottamente dal 1998 al 2003, rivela alcuni aneddoti relativi alla sua carriera
Pierluigi Collina, ex arbitro
Pierluigi Collina, ex arbitro (Getty Images)

Giovedì 13 febbraio Pierluigi Collina compirà 65 anni. A pochi giorni da questa importante festa, l’ex arbitro si è raccontato al quotidiano La Repubblica rivelando alcuni aneddoti relativi alla sua straordinaria carriera. L’ex direttore di gara, ora presidente della commissione arbitrale della Fifa, ammette di avere nel proprio studio una bellissima e vasta collezione di cimeli: “C’è il pallone della finale della Coppa del Mondo 2002 (quella tra Germania e Brasile nell’edizione disputata in Corea del Sud e Giappone ndr): quel giorno ho fischiato la fine della partita con credo 13 o 14 secondi di ritardo, ininfluenti per il risultato, per avere la certezza che il pallone fosse fra le mie mani, per portarlo a casa con me. Alla premiazione, prima di ricevere la medaglia, una persona dell’organizzazione mi disse: ‘Pierluigi, se mi dai il pallone te lo tengo io’. Gli risposi: ‘Non ci penso neanche lontanamente, il pallone resta con me’. Nelle foto della cerimonia sono sempre con quel pallone in mano. Ora si trova nello studio dove lavoro: ci sono un po’ di palloni, di magliette. A chi ama il calcio luccicherebbero gli occhi”. A decidere la sfida fu Ronaldo il Fenomeno con una doppietta: “Ho anche la sua maglia di quella partita – racconta –, arrivò negli spogliatoi, me la diede dentro un sacchetto ancora sudata. E di quel giorno ho anche quella di Cafu. E di Hamann”.

Collina: “A 24 anni ho perso tutti i capelli”

Dotato di grande carisma, ha sempre avuto un piglio autoritario pur rispettando tutti: “Non ho mai avuto la tentazione di lasciare il campo per degli insulti. Ci hanno provato a farmi abbandonare il rettangolo verde. Anzi: a farmi smettere di arbitrare perché avevo perso tutti i capelli. Quando a 24 anni ho sofferto di alopecia totale, nel giro di due settimane ho perso tutte le forme pilifere e solo perché ero ‘bravino’ ho continuato. I vertici arbitrali mi fermarono per 3 mesi. Poi mi fecero un test: mi mandarono ad arbitrare una partita a Latina, uno stadio caldo, per vedere che effetto facessi alle persone. Sarò sempre grato a quel pubblico: a loro quel giorno non poteva fregare meno di avere un arbitro senza capelli”.

Collina, un arbitro fuori dagli schemi

Nato a Bologna, ma della sezione di Viareggio, ha vinto il riconoscimento come miglior arbitro del mondo ininterrottamente dal 1998 al 2003. Grazie alla sua grande personalità si faceva rispettare in campo, prendendosi a volte la responsabilità di decisioni piuttosto singolari, come ad esempio in un Foggia-Bari del 1997, quando fece cambiare il campo alle due squadre nel secondo tempo: “Quella volta dagli spalti tiravano di tutto verso il portiere del Bari ed evitai che dovesse restare nella porta sotto la curva del Foggia – ricorda –: l’allora giudice sportivo Maurizio Laudi, una persona straordinaria, disse che l’interpretazione data era ultra legem sed non contra legem. Era la maniera per portare a casa la partita, con la condivisione dei protagonisti. Giocatori e tecnici mi chiedevano: ‘Ma si può fare?’. Dissi: ‘Se voi mi dite che vi va bene, lo facciamo’”.

Collina su fuorigioco e calci di rigore

Sulle nuove regole e il Var Collina commenta: “L’accuratezza è sempre un vantaggio. Poi potremmo dire: due centimetri sono così determinanti? A 40 metri dalla porta forse no, magari in area di rigore lo diventano. Mettere una soglia? Bisogna sempre cercare di capire se la soluzione risolve il problema, o se invece ne crea un altro, magari peggiore. E poi: fino a quanto i centimetri non sono rilevanti? Due, cinque, dieci? Oggi grazie alla tecnologia nel fuorigioco, così come nel gol-non gol, abbiamo una certezza quasi assoluta”. Sui gol su ribattuta da calcio di rigore l0ex direttore di gara ha un’idea ben precisa: “Credo che esista un gap eccessivo tra le possibilità che ha l’attaccante e quelle del portiere. Già si segnano in media il 75% dei calci di rigore, e spesso il rigore è un’occasione maggiore di quella che è stata tolta con il fallo. In più si dà anche la possibilità di giocare la respinta del portiere? Secondo me i portieri dovrebbero lamentarsi. L’ho già detto in discussioni che abbiamo avuto all’Ifab – prosegue –: una soluzione è il one shot. Come nei rigori dopo i supplementari: non c’è respinta, o fai gol o si riparte da un calcio di rinvio, punto. E così eviti anche il teatrino che oggi c’è prima di un calcio di rigore, con tutti lì intorno all’area. Sembrano i cavalli ai canapi prima della partenza del Palio di Siena”.

Collina torna su Perugia-Juve del 14 maggio 2000

Infine Collina riavvolge indietro il nastro e rivela cosa accadde quel famosissimo 14 maggio 2000, quando un forte diluvio che si abbattè sul Curi costringendolo a interrompere la partita tra Perugia e Juve. Era l’ultima gara di campionato e la Signora di Carlo Ancelotti si giocava lo scudetto con la Lazio, vittoriosa all’Olimpico 3-0 contro la Reggina. Dopo vari sopralluoghi il fischietto della sezione di Viareggio decise di rimandare in campo le due squadre. Calori firmò il gol che condannò i bianconeri e fece partire la grande festa all’Olimpico: i biancocelesti di Sven-Goran Eriksson erano campioni d’Italia per la seconda volta nella loro storia dopo l’impresa indimenticabile della Banda Maestrelli nel 1974. “Quello che fu sicuramente anomalo, fu il tempo tra quando fu sospesa la partita e quando riprese – ricorda Collina -. Ma le condizioni del campo non erano poi così brutte, abbiamo visto situazioni peggiori. Chi era lì lo scrisse sul giornale e i giudizi furono unanimemente positivi. Decidere è quello che ho imparato a fare dall’età di 17 anni, quando ho iniziato ad arbitrare, ed è la cosa di cui sono più riconoscente a questo percorso. Scontato dire che sei grato di aver diretto la finale della Coppa del mondo, la finale di Champions. La cosa che veramente ha fatto la differenza per me come uomo è stata imparare a decidere a quell’età. E nel 1977, non oggi che i ragazzi di 17 anni fanno cose che noi non ci sognavamo. Io arbitravo partite di giocatori adulti, dovevo decidere e assumermi la responsabilità della decisione. Mi ha aiutato a essere l’uomo che sono”.